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“PROPOSTA D’UN METODO CRITICO” E LETTURA CONCERTANTE

Chieti, Museo Barbella – 2 febbraio 2024, ore 17.00

Presentazione del libro di Enzo Vanarelli “Proposta d’un metodo critico in deliberata assenza di estetiche”. Massimo Pamio, Rolando D’Alonzo e Francesca Ranieri dialogheranno con l’autore durante la prima parte dell’incontro, di carattere scientifico e culturale.

A seguire, lettura concertante “Inediti linguaggi: la ricerca pascoliana e la musica coeva”. Voce recitante Enzo Vanarelli; all’arpa Carla They.

Il dibattito è aperto al pubblico.


“Il solo modo che io conosca di parlare di poesie consiste nel tentare di esaminarle nei particolari per quanto concerne il suono e la forma e il colore. Del significato di una poesia non posso parlare in quanto poeta in nessun modo: questo compito va lasciato ai teorici, ai logici, ai filosofi, ai sentimentali, eccetera. Bisogna sentire e pesare la forma, il suono, il contenuto di ogni parola rispetto alla forma, al suono, al contenuto delle parole intorno ad essa.”

Queste sono parole di Dylan Thomas, pronunciate all’inizio degli anni ’50; e sono sembrate – ai teorici, ai logici, ai filosofi, ai sentimentali – quasi un’eresia. Per me però, che da sempre vaglio la poesia sul crivello linguistico, suonano sfida: impostare una lettura di Pascoli centrata sulla sostanza fonetica dei testi, sulla capacità fantasmatica della parola, sull’uso degli arbitrii linguistici e fonosimbolici, verificando l’ipotesi che questa fosse la sostanza della poesia pascoliana. Il Croce, aggrappato tenacemente in poesia al significato, aveva ridotto il vertiginoso “poeta del linguaggio” a un banale “poeta delle piccole cose” – le cose, passi; ma le parole? le avete lette? le avete ascoltate? le avete pesate? E i suoi testi finiti nelle antologie scolastiche? Il Maestro alchemico proposto come lettura ad apprendisti alle prime armi! Poveri ragazzi, completamente disarmati di fronte alle parole: quanti Aquiloni! quante Cavalline storne! quanti pianti! Finché Gianfranco Contini, nella memorabile lezione a San Mauro Pascoli del 18 dicembre 1955 (attenti alle date!) riportò le basi della critica pascoliana dall’analisi psicologica dell’autore all’analisi linguistica dei testi. Ma biografismo e psicologismo son bestie dure a morire; e ancor oggi si officiano letture pascoliane condotte come cacce all’uomo, con lo strumentario dell’esplorazione psicanalitica, come se voyeurismo, latente omosessualità e tentazioni d’incesto decidessero poesia sì/poesia no.

Possiamo percepire la qualità altissima del dettato pascoliano in due modi: per un attore, misurandolo sulla vocalità esperita della lettura a voce; per un pubblico mediamente colto misurandolo sui prodotti più avanzati del simbolismo e del decadentismo europei – che però collegherà piuttosto agli studi tonali e timbrici di Swinburne e Wilde e Pater e Rimbaud e Verlaine, che al Nostro, che peraltro li lascia indietro proprio sul piano linguistico, per l’elaborazione di un “sistema di segni” che sovverte la consistenza semantica del mezzo espressivo e si pone come vertice assoluto, scavalcando i tempi e i segni di ogni suggestione d’oltralpe. Più agevole per chi intenda musica riferire all’analogo (e strettamente coevo) smantellamento delle fortezze armoniche e strofiche; l’apertura a tonalità inusitate, le scale esatonali o dodecafoniche, le serie ripetitive o aperte, la rimodulazione sfuggente, l’adozione del “leitmotiv”, l’atonalità; processi che da un lato scavalcano le tradizioni stilematiche ottocentesche, dall’altro aprono all’impiego di nuovi materiali. È su questo versante della ricerca che io e la preziosa amica e gran musicista Carla They abbiamo ricercato questo concerto/lettura, inseguendo le parentele stilematiche, talora puntuali talora folgoranti, con Satie più che Rimbaud, con Debussy più che Verlaine, con Puccini più che Swinburne, con Rimskji-Korsakov più che Wilde.

Vagliata la poesia pascoliana sul crivello linguistico, vi offriamo una campionatura di testi talora molto noti talora no, centrata sulla capacità fantasmatica della parola, sulla insorgenza di arbitri linguistici e pre- e post- e para-linguistici nonché fonosimbolici. Qui il segno fonetico si spoglia dell’uniforme carceraria significante/significato e indossa il manto magico d’un sistema referenziale sciamanico, in cui i fatti avvengono perché le parole li dicono. Questi testi riaprono l’orecchio attento e lo rapiscono in una vertigine linguistica che solo in caso di svista rimandano a sentimenti e pianti sul vissuto (Pascoli è un poeta che ha scritto troppo; e ne paga le conseguenze). 

Qui si accampa la parte più entusiastica del lavoro. Non serve citare musicisti a casaccio per verificare l’ipotesi e la sfida. Intrecciando le nostre sensibilità e avvertenze abbiamo aperto un campo di esplorazione sulle gemellarità dei due ambiti, affidandone l’esecuzione alla singola parola nuda su un versante, al suono prelevato a mano nuda sull’arpa dall’altro, perché la scarnificazione dei mezzi espressivi renda la vertigine straniante dei testi. Che – attenzione – talora sembrano facili, ma non fatevi incantare. Dalla congerie dell’opera tutta abbiamo enucleato due aree a specchio: da un lato l’usato vissuto, tranquillizzante anche se dolente; dall’altro l’inusitato poetizzato, esaltante nel rapimento della parola detta. Proponiamo deliberatamente quindi una coppia ripetitiva di strutture melodico/armoniche tradizionali come analoghi del vissuto; e tanta della sostanza cangiante e spiazzante della ricerca timbrica, tonale, modale come analogo della poesia. Di questa duplice connotazione è intessuto il nostro lavoro. Presentiamo perciò a voi e all’ombra di Carmelo Bene un concerto, in cui ancoriamo alla poetica del vissuto il popolareggiante Zefiro di Bellini e il funereo Grablied di Peter Cornelius; e offriamo alla poesia della ricerca formale lo specimen calibrato della ricerca musicale europea a cavallo tra tardo Ottocento e primo Novecento – che troverete nel programma.

(Enzo Vanarelli)

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