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Scrive Platone

William Blake, Dio giudica Adamo, 1795

Scrive Platone nel Simposio: “ciò che importa è che l’Amore non fa né subisce ingiustizia sia tra gli dèi che tra gli uomini”; ed io capivo che Amore non solo non commette ingiustizia, ma neanche la subisce passivamente. Sbagliavo.
Pensavo che quando Amore soffre per un male ricevuto, reagisce per non subire l’ingiustizia. Non era così.
La lettura corretta di quel pensiero forse mi è arrivata via Simone Weil, quando scrive: ”per poter essere perfettamente giusti, si deve poter subire l’ingiustizia senza ricevere alcun male.” Ed inoltre: “a quelli che in nessun caso farebbero del male, non è possibile farne.”
Perché un uomo sia perfettamente giusto (perché diventi Amore) non basta che non faccia il male; non basta neanche che non reagisca al male. Un uomo perfettamente giusto è quello che il male neanche lo sente, non lo capisce, non lo vive.
L’uomo perfettamente giusto non reagisce al male perché non considera male il male. E non lo considera male, perché un uomo perfettamente giusto si è distaccato completamente da sé.

Più ci dissociamo dal nostro Io, meno esiste il male. E il contrario.
Perciò quando un uomo diventa perfettamente giusto; quando diventa solamente Amore, non subisce più ingiustizia perché non conosce più il male.
Per questo Platone ha potuto scrivere che “Amore non subisce il male”.
Noi consideriamo “male” solo il dolore che ci procura l’uomo. Il dolore generato in noi dalla natura lo viviamo come destino.
Ecco a cosa dovrebbe tendere tutta l’educazione: aiutarci a capire che siamo fondamentalmente natura, anche se crediamo di essere volontà, libero arbitrio, identità; anche se crediamo di essere figli di un Dio Maggiore.
Questa consapevolezza potrebbe aiutarci a vivere con un altro cuore il dolore: meno rancore e più accettazione.
Il passaggio dalla Grecia al cristianesimo si riduce fondamentalmente al passaggio dal destino al libero arbitrio.
Qui ha inizio l’individualismo che tanto rancore crea oggi dentro i nostri quartieri. Qui lo spaesamento per la perdita di un Dio Onnipotente che non c’era, ma era utile per rassicurarci di fronte all’assurdità del nostro destino. Qui il nostro senso di povertà, anche se oggi la nostra più grande preoccupazione è trovare il modo per mangiare meno. Qui la nostra ansia che non ci lascia neanche respirare: non abbiamo bisogno di psicofarmaci, ma di accettare il dolore.
Il mondo ottimistico-volenteroso creato dal Dio cristiano ha vinto su quello “tragico” dei Greci, non perché fosse più “vero”, ma perché “garantiva” la Befana agli uomini in pena.
Non abbiamo più saputo guardava in faccia il dolore, e abbiamo creato una “Santa Alleanza” con un Dio che ci “garantisse” una “terra” che non c’era.
Se l’uomo è dotato di “libero arbitrio”, deve essere lui il responsabile del nostro male; così abbiamo iniziato a pensare a mano a mano che ci allontanavamo dalla Grecia.
Così pian piano abbiamo creduto che il male, ogni male vissuto dall’uomo, fosse deciso, voluto, da un altro uomo; ed oggi nei nostri quartieri il risentimento è quasi l’unico sentimento conosciuto.
Così abbiamo rimpiccolito il nostro mondo riducendolo solo alla società; e così pensiamo che al di là del nostro piccolo cielo, non ci sia più nessun cielo.
E dentro un mondo ridotto alla nostra misura, è quasi impossibile condividere con Platone l’idea che “Amore non fa né subisce ingiustizia”. E’ impossibile condividere con Simone Weil l’idea che ”per poter essere perfettamente giusti, si deve poter subire l’ingiustizia senza ricevere alcun male.”
Possiamo “subire l’ingiustizia senza ricevere alcun male”, solo se noi siamo distaccati da noi.
Ma il distacco era possibile quando gli uomini credevano allo spirito, al trascendente; gli uomini si distaccavano da loro per vivere una vita più pura e più intensa; per vivere lo spirito.
Ma se noi oggi conosciamo solamente noi, perché dovremmo distaccarci da noi?

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