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Paolo Dal Canto, L’UOMO LIVELLA, Recensione di Elena Elle Comana

Paolo Dal Canto

L’uomo livella e altri racconti

Edizioni Mondo Nuovo, “Babele”, Pag. 176, Euro 15,00

In genere un libro che ti prende ti dispiace finirlo, vero? Questo m’ha preso e, miseria d’una miseria, non vedo l’ora che mi lasci!

Mi manca ancora un racconto, mi aggiro lì dentro strisciando tra una pagina e l’altra, nascondendomi, guardandomi alle spalle. In una storia entri e c’è vetro per terra, sei a piedi nudi, in un’altra cola roba dall’alto, e non so dirti se è il caso di guardare o no, o arriva qualcosa da sotto, e vale lo stesso. E’ come essere in una lunga serie di sogni di un altro, e non veder mai arrivare mattina, – ma cosa sogna questo qua -.

Cosa c’è di più comodo dello sdraiarsi da qualche parte e leggere un libro tagliato sulle proprie corde, semplice, affascinante, scorrevole. Per quale motivo uscire dalla propria comfort zone per fare sta fatica di inabissarsi nelle viscere dell’umano. Che poi ne esci e non sei più quello di prima, t’è toccato di conoscere qualche situazione poco agevole, e ce l’hai pure tu una bolla d’aria nella pancia, che ti fa male. Ti fa male.

L’autore scrive guardando sempre avanti, non si preoccupa di piacere, di farsi seguire. Ha altro da fare, precursore di viaggi e di mondi, narrazioni differenti. Idee inusuali e inaudite una dietro l’altra.

Entra nei suoi mondi senza paura, di volta in volta come aprendo una saracinesca di schegge, vetro che protegge un mondo esploso in frantumi. Schegge di specchio che riflettono deformando, ghignando. La caricatura ingigantisce mostrando. Li ordina su un rigo possibile che diviene racconto di un frammento di realtà.

Un frattale, ente geometrico che riproduce un mondo.

La visione precisa che ho avuto, e ho, nel pensare a questo viaggio nei racconti, è di seguire l’autore entrando e uscendo dalle sue storie, ognuna delle quali chiusa in una stanza di forma esagonale. Come essere in un caleidoscopio, scorrere in un mondo liquido, entrare e uscire da tessere esagonali dentro cui è contenuto e narrato un mondo. La materia degli esagoni è vetro, sottile, fragile e forte, tagliente, accecante, rifrangente.

Come bolle di sapone, ma non son bolle, non è sapone.

Esagoni di vetro sottilissimo.

Crack

L’autore apre la saracinesca, entra. Se volete, andategli dietro. Tenetevi salda la pelle.

C’è terrore, orrore, dolcezza, suggestione, ironia, ritmo, antico, profondo, sensuale, ci son le viscere i simboli e tutte le cose rovesciate, il basso in alto e l’alto in basso. Poi tutto ruota e scorre senza punti fermi, è un viaggio nell’andare-oltre, sempre.

E’ scomodo, irriverente, tagliente, ma anche ironico, visionario, dirompente. La scrittura cambia continuamente registro, così come cambiano i mondi. La costante è il controllo sapiente. Tutto regge e sta in piedi perché tenuto insieme con precisione e cura, visione. C’è molto dell’artigiano nel tagliare su misura lo stile e il ritmo di ogni racconto, nell’accostare i racconti in un tessuto più ampio, dargli forma, come un vestito che non è solo collo, dietro davanti tasca o cintura. E’ un abito, che ti accompagna nel viaggio. Tessuto che ti copre, e ti scopre.

Serve grande capacità di scrittura per scrivere del caos del mondo, ordinarlo per righe, paragrafi, capitoli, racconti. Per dargli forma, sostanza, peso e leggerezza. Per lasciare le cose lì, appese e grondanti, per farle risalire dal profondo, dare voce al chiaro e allo scuro. Dare a tutto contenimento.

C’è grande equilibrio, nello stare di tutte le cose del mondo, così deflagrate, forti e fragili. Vetro sottile, forme, bolle, silenzi e urla.

Ogni cosa un frattale

una parte finita nell’infinito.

Una faccia nello specchio di dio.

Elena Elle Comana

 

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