C’è una violenza invisibile dentro le nostre contrade. Invisibile perché iniziamo a respirarla già con il primo vagito. E ci accompagna tutta la vita.
Non la vediamo perché la sperimentiamo tutti, a prescindere da tutto.
E quando di qualcosa facciamo esperienza tutti, non è più un problema, ma diventa la “regola” attraverso la quale vediamo la “realtà”. Perché la “realtà” è quello che noi pensiamo sia “realtà”, nient’altro:” la realtà del mondo è fatta da noi, col nostro attaccamento. E’ la realtà dell’io trasportata da noi nelle cose” (S.Weil).
È successo così quando gli uomini per millenni decidevano tutto secondo la “logica” dell’inferno oppure del paradiso: non era vero niente, ma funzionava. Era quella la “realtà”.
Succede ancora oggi quando gli uomini sono convinti di essere “liberi” nelle loro decisioni.
Siamo condizionati, “necessitati”, tutti, ma noi crediamo che non sia vero. Tutti cambiamo canale televisivo quando vogliamo, perciò non c’è bisogno di altre prove.
Eppure a volte scavando dietro le nostre convinzioni, possiamo conoscere un altro livello di esistenza.
Potrebbe succedere qualcosa del genere guardando da estranei quello che succede dentro le nostre contrade. Potrebbe succedere che un marziano, un pettirosso, oppure la luna,  potrebbe vedere quanta violenza governa i rapporti tra gli umani. Violenza che noi non vediamo perché ci siamo abituati: “non sapevo con quanta rapidità ci si abitua a considerare una classe privilegiata come una specie biologicamente superiore e ad ammettere i suoi privilegi come legittimi e naturali” (S.Weil).
Tutti i nostri “valori” sono generati dalla forza e dal potere. Tutti, ma proprio tutti. E poi ci lamentiamo se i casi patologicamente più rilevanti diventano notizia d’apertura dei telegiornali.
Noi siamo “malati” nel profondo, e non dovremmo rendercene conto soltanto quando la violenza sfugge al controllo della violenza che governa normalmente il nostro mondo: ”non sappiamo più discernere e descrivere la forza, perché nel profondo di noi stessi, e senza volerlo ammettere, siamo in ginocchio di fronte a lei” (S.Weil).
E chi non rispetta l’organizzazione del mondo decisa dalla forza, sembra essere un vigliacco, oppure un incapace, per quelli che hanno capito subito cosa conviene fare: “i vili scambiano il coraggio soprannaturale per debolezza d’animo. Conoscere la forza significa riconoscerla come pressoché assolutamente sovrana in questo mondo, e rifiutarla con disgusto e ribrezzo. Questo disprezzo è l’altra faccia della compassione per tutto ciò che è esposto ai colpi della forza” (S.Weil).
Ecco, dovremmo riconoscere che la forza “è assolutamente sovrana in questo mondo” e, nonostante questo, ignorarla.
Ma per poter ignorare la forza, occorre portare nel cuore un’altra idea di mondo. Altrimenti non abbiamo scampo: possiamo misurarci solo con i “valori” che troviamo dentro questa Caverna-Società: ”una sola cosa quaggiù può essere presa per fine, perché possiede una specie di trascendenza riguardo alla persona umana: la collettività. La collettività è l’oggetto di ogni idolatria, è quella che ci incatena alla terra. L’avarizia: l’oro è socialità. L’ambizione: il potere è socialità. La scienza, l’arte anche. E l’amore? L’amore fa più o meno eccezione” (S.Weil).
Ma noi non possiamo aprire gli occhi sulla forza che organizza la nostra esistenza, perché altrimenti rischiamo di auto-emarginarci, rischiamo di restare soli. E noi, dentro questa incertezza chiamata mondo, abbiamo bisogno della sicurezza, del senso, che può arrivare solo in rapporto agli altri. E questo nostro bisogno di sicurezza, di senso, ci costringe alla “servitù volontaria”: ”il rischio maggiore non sta nella tendenza del collettivo a soffocare la persona, ma nella tendenza nella persona a precipitarsi nel collettivo” (S.Weil).
La collettività per molti sembra essere il nostro massimo bene, specialmente adesso che “l’occhio” trascendente attraverso il quale per millenni abbiamo visto la nostra vita, non esiste più. E senza “trascendente” non riusciamo più a renderci conto di quanto siamo subordinati all’esistente: “non sappiamo fino a qual punto siamo schiavi delle influenze sociali” (S.Weil).

*****

Ma se i valori sociali sono l’unico metro per misurare il valore di una persona, ”se noi ci stimiamo solo socialmente” (S. Weil), è chiaro che tutti dobbiamo fare a gara per crescere nel valore sociale.
E se il potere, la forza e la vittoria sono i “valori” che danno senso alla vita di una persona, è impossibile sfuggire all’uso della forza per raggiungere vittoria e potere: “la persona si realizza solo quando il prestigio sociale la gonfia; la sua realizzazione è un privilegio sociale(S.Weil).
Adesso, giustamente, siamo tutti indignati per l’uso della forza contro le donne. Abuso che arriva purtroppo fino al femminicidio; ma questa violenza non è una eccezione nella comunità degli umani, è la regola; solo che non sempre arriva a questi estremi.
Il femminicidio è la violenza più intollerabile che si realizza nella razza umana, perché è realizzata nel nome dell’amore: “Non appropriarsi di ciò che si ama…..non mutarvi nulla….rifiutare la potenza” (S.Weil).
L’amore macchiato dalla forza, da qualunque forza, da qualsiasi violenza, è la degradazione estrema dell’uomo.
Ma anche l’interesse portato dentro l’amore è violenza, anche se tutti facciamo finta di non rendercene conto.
Quasi tutti i matrimoni sono decisi dai rapporti di forza sociale, ma noi non ci facciamo caso. Anche nell’amore, l’esperienza più entusiasmante che gli uomini possono fare, vale più la dichiarazione dei redditi, che l’amore; eppure: ”è possibile amare ed essere giusti solo se si conosce l’imperio della forza e si è capaci di non rispettarlo” (S. Weil).
La malattia più grave dell’uomo, è il potere. Ma per gli uomini la ricerca del potere non sembra una malattia, ma un “Valore” (basta guardare i libri di storia per capire).
Il distacco da sé è la soluzione. Ma nessuno può uscire dalla Caverna da solo.
Occorre il Destino, la Grazia , oppure solo Fortuna.
Occorre qualcosa che non è nella facoltà dell’io, per poter uscire dalla Caverna, e sperimentare così l’Aperto; “fuori”.
Perché , nonostante non sia facile da credere: “vi è una realtà situata fuori del mondo, vale a dire fuori dello spazio e del tempo, fuori dell’universo mentale dell’uomo e di tutto ciò che le facoltà umane possono cogliere.
A questa realtà corrisponde, al centro del cuore umano, l’esigenza di un bene assoluto che sempre vi abita e non trova mai alcun oggetto in questo mondo”(S.Weil).
Le leggi sono importanti, anche le pene; ancora più importante è l’educazione. Ma la consapevolezza che tutto quello che noi siamo qui è pura illusione, può essere la vera soluzione. E solo questa consapevolezza può spingerci a cercare la realtà al di là della nostra realtà: ”noi siamo nell’irrealtà, nel sogno. Rinunciare alla nostra situazione centrale immaginaria, rinunciarvi non solo con l’intelligenza, ma anche con la parte immaginativa dell’anima, significa svegliarsi al reale, all’eterno, significa vedere la vera luce, ascoltare il vero silenzio….. Vuotarsi della propria falsa divinità, negare se stessi, rinunciare ad essere in immaginazione il centro del mondo, discernere tutti i punti del mondo come centri allo stesso titolo  e il centro vero come esterno al mondo, significa acconsentire al regno della necessità meccanica nella materia e della libera scelta nel centro di ogni anima. Questo consenso è amore. La faccia dell’amore verso le persone pensanti è carità del prossimo, la faccia volta verso la materia è amore dell’ordine del mondo, o, che è lo stesso, amore della bellezza del mondo”(S.Weil).
Per la realtà fuori della realtà nessuno sa indicare la via; molti hanno provato a farlo, ma spesso solo per ricavarne un poco di potere.
Eppure anche se nessuno conosce né il nome, né la via per arrivare, la realtà fuori della nostra realtà esiste veramente. Ma solo per chi ne fa esperienza: “il reale è “trascendente”, è questa l’idea essenziale di Platone” (S. Weil).
Per uscire dalla Caverna, per fare esperienza della realtà “trascendente”,  non vale né la democrazia delle anime, né quella del mercato: c’è il destino, la Grazia, il Fato; non l’illusione del libero volere.

Tino Di Cicco

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.