Se noi vogliamo sommare un’automobile ad un’altra automobile, è facile: avremo due automobili.
Se poi vogliamo sommare alle due automobili un autobus, non possiamo dire che abbiamo tre automobili (oppure tre autobus). Dobbiamo “trascendere” il nome delle “cose” che sommiamo, e dire abbiamo tre mezzi di trasporto. Se poi vogliamo aggiungere anche una casa, non possiamo dire di avere 4 auto (oppure autobus, oppure case). Dobbiamo “trascendere” ancora i nomi dei singoli componenti e dire: abbiamo quattro prodotti dell’uomo. Se poi aggiungiamo un albero, una stella, il pianto di un bambino, il tempo, i papaveri, le nuvole, i nostri desideri… noi abbiamo il “mondo”. E il mondo non è “qualcosa”, ma la somma di tutte le cose. Le “trascende” tutte, e solo così è possibile dirle.
E questo mondo che tutto contiene, gli uomini hanno sempre pensato sia stato generato dalla Natura oppure creato da Dio (oppure da Deus sive Natura). Ma sempre è stato necessario un principio, un’idea “trascendente” il mondo per causarlo, per giustificarlo.
Qualche millennio fa la divinità della Natura è stata espropriata dal Dio cristiano, che l’ha consegnata all’uomo perché potesse utilizzarla secondo i suoi desideri (Genesi 1,27-28). Qualche secolo fa l’idea di Dio è stata “uccisa” dalla tecno-scienza, convinta di poter regalare agli uomini già qui, sulla terra, quel Paradiso che le religioni avevano creduto di poter assicurare nell’alto dei cieli.
E adesso siamo qui: con una Natura distrutta dalla nostra rapacità, e con un Dio “ucciso” dalla nostra prepotenza. Ma forse senza Dio e senza Natura non abbiamo trovato (ancora?) il Paradiso sulla terra.
E adesso comincia a crescere la sensazione che senza l’idea di Dio, oppure quella della Natura, noi non siamo più in grado di sommare le cose. O meglio possiamo tenere assieme solo quelle che si somigliano, non quelle differenti, perché ci manca l’“idea” capace di mediare (possiamo sommare un’auto con un’altra auto, ma non un’auto con una casa).
Stanno assieme alberi e alberi, fino a formare le foreste. Ma non uomini e uomini. Forse perché i primi sanno di essere natura, mentre i secondi pensano di essere tutti diversi: uno migliore dell’altro.
E questo lo vediamo benissimo nella politica. Dove è difficile trovare un contenitore-partito in grado di tenere assieme pensieri anche solo un poco differenti. Appena si trova una differenza, subito ci si distacca dall’albero, illudendosi di dare origine ad un altro albero: quello “vero”! (stanno insieme solo le differenze raccordate dall’interesse o dalla forza).
Così facendo fra poco non saremo più in grado di accogliere nessuna differenza, e faremo come Narciso: nello specchio della realtà riusciremo a vedere solo noi stessi (o quelli che ci somigliano).
Ma così il nostro mondo non sarà più il cosmo, l’ordinato contenitore del tutto, ma al massimo il nostro quartiere. Non saremo più in grado di vedere le stelle, ma soltanto i nostri piccoli desideri.
La mancanza di un’idea in grado di unificare le cose per farne un cosmo produce effetti non solo fuori dell’uomo, nella natura, ma riverbera i suoi effetti anche dentro l’uomo.
Senza la possibilità di identificarsi con un principio unificante, l’uomo sembra non essere più in grado di una “identità”.
È come se i suoi costituenti interiori a loro volta tentassero di liberarsi per rivendicare una autonomia che può portare l’uomo alla follia. È vero che “bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante” (Nietzsche); ma se noi non siamo più in grado di guardare il cielo, se non saremo capaci di identificarci in un principio capace di accogliere tutto, porteremo sicuramente il caos dentro di noi, ma forse non saremo più capaci non solo di partorire una stella, ma neanche di vederla.