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Domenico e Zelinda

Teofilo Patini, “Vanga e latte”, 1884.


Ci sono vite che prima di nascere, sono già costrette alla tragedia. Domenico era al quarto mese nella pancia della madre, e già perde il padre. Il terribile terremoto del 1915 nella Marsica uccide circa 30.000 persone; fra le quali anche il padre di un bambino che ancora non c’era.
E quando entra veramente nel nostro mondo, prima d’imparare l’alfabeto, deve imparare a governare le pecore. Bisogna mangiare per vivere, se poi avanza del tempo, si può pensare anche ai libri.
Era già difficile vivere con un padre che procurava il cibo, senza, occorre che i bambini diventino i padri di loro stessi, se vogliono sopravvivere.
E Domenico (Mncuccio) non si tira indietro.

A sei anni ha già imparato il mestiere di pastore, e a otto sta iniziando ad imparare la gestione dell’asino. Appena pronto guadagna già la paga giornaliera di un adulto, trasportando materiale per la costruzione della rete elettrica nazionale (UNES). Verso i 13/14 anni è già pronto per andare in montagna con l’asino, per procurarsi la legna per scaldare la casa. E la gioventù si avvicina.

In un paese vicino (ma 4 chilometri non erano pochi per chi doveva farli senza auto, senza moto, senza mezzi pubblici e anche senza bicicletta) cresceva Maria Zelinda. Povera come Mncuccio, ma con il padre ancora vivo. Un padre che emigrando in America, in Libia e in Belgio, cercava di far crescere la nidiata di 4 figlie in casa. Appena Zelinda è in grado di reggere un canestro sulla testa, comincia a lavorare. E anche se siamo verso il 1935/6 il suo lavoro si chiama ancora baratto, come in pieno medioevo: deve trasportare su un canestro prodotti della Valle Roveto al di là degli appennini verso il Fucino, e portare patate verso casa. Per vivere, solo per vivere.
I desideri potevano aspettare, sarebbero arrivati con i figli e con i nipoti (con noi, insomma).

Mncuccio e Zelinda s’incontrano, s’innamorano, si fidanzano e si preparano a sposarsi (allora l’America non aveva ancora esportato il flirt).
Ma Mncuccio ormai è un giovane e la patria chiama: prima il servizio militare, poi la guerra in Albania, poi prigioniero in “Germania” (ma in realtà Linz è in Austria, e Mncuccio non l’ha mai saputo).
Così la promessa di due poveri ragazzi delle montagne abruzzesi viene spezzata dai sogni di gloria della Patria. Potere internazionale contro una piccola storia d’amore. E vince quasi sempre il potere.
Per otto anni Mncuccio e Zelinda non sanno più niente l’uno dell’altra. Mncuccio teme che Zelinda possa aver trovato un altro giovane per fare famiglia; Zelinda teme che Mncuccio sia stato ucciso dai partigiani albanesi.

Ma tra la fame sempre in agguato, e le mitragliatrici sempre pronte ad uccidere, Zelinda e Mncuccio non si dimenticano.
Dura quasi quanto il peregrinare di Ulisse lontano da Itaca, la separazione tra Domenico e Zelinda. Ma si vogliono bene; senza sapere sapevano che fede/fiducia è la parola fondamentale per vivere; allora non era necessario ripetersi ogni quarto d’ora sul cellulare “quanto ti amo”, per amarsi davvero.
Subito dopo la guerra, un poco in treno, un poco a piedi, Mncuccio rientra nel suo paesino: e trova chi l’aspettava! Chi non poteva non aspettarlo!
Zelinda, infatti, anche se stava a lavorare a 150 chilometri dal paese, appena sa del ritorno di Mncuccio dalla guerra, lascia il lavoro e torna a piedi (150 chilometri!).
Perché in altri tempi l’amore era per sempre: un po’ per dovere, un po’ per necessità, ma qualche volta anche solo per amore.

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