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Coronavirus

Come il 70% del nostro corpo è acqua, il 90% della nostra realtà è illusione. Eppure dentro questa illusione noi combattiamo, diamo il nostro sangue, come se fosse la realtà eterna.

Non sappiamo più guardare da “fuori” questa “realtà”, e allora il nodo scorsoio di questo mondo c’ imprigiona sempre più.

Naturalmente non è colpa di nessuno se è così, anche se noi abbiamo maledettamente bisogno di trovare un “capro espiatorio”. E in questa fase non possiamo non trovarlo nella politica, nella società, perché per noi non c’è altra “realtà” che questa.

Abbiamo perso per strada la realtà dello “spirito” del “trascendente” del “sacro”; di un “trascendente” dentro cui potevamo sperimentare la nostra irrilevanza e così crescere. Forse anche diventare “adulti”. E oggi possiamo continuare ad usare quelle parole solo con le virgolette. Altrimenti i Grandi Manager dei Valori del Progresso e della Società si ribellano. E ci mettono all’indice. Come altri facevano verso altri in altri tempi. Funziona così. E se dopo Mario Tronti (“dello spirito libero”) un altro grande intellettuale di questo Paese – Massimo Cacciari – può permettersi di utilizzare la parola spirito nel titolo di un suo libro (“il lavoro dello spirito”), forse significa qualcosa. Forse nei sotterranei della società si sta riscoprendo un bisogno che non coincide con i nostri bisogni individuali o sociali. Forse c’è anche dell’altro oltre al soggetto e alla società. Forse non erano solo “passato” quelli che prima di noi guardavano a qualcosa più grande di noi e lo chiamavano spirito. Qualcosa che noi possiamo chiamare anche in altri modi: perché non è questo che conta; conta invece tantissimo recuperare la consapevolezza che noi siamo più giustizia che PIL; più amore che tecnologia; mortali non immortali.

Ma il “peccato originale” di un uomo simile a Dio, è alla base della nostra “tragedia”. Non siamo stati capaci di guardare con onestà la nostra condizione. Abbiamo pensato che il tragico vissuto dai Greci fosse il passato, l’arretratezza, l’ignoranza. Mentre la nostra Alleanza con l’Onnipotente Dio potesse garantirci per sempre pane et circense.

Abbiamo assecondato il delirio di chi ha creduto che “Gott mit uns”, sotto tutte le sue varianti. Le “radici ebraico-cristiane” dell’Europa, sono questo (anche se non soltanto questo).

Ma l’ “Alleanza” uomo-Dio è forse il “peccato” che ha orientato tutta la storia dell’Occidente. Una Alleanza che ha tolto l’uomo dal dubbio, dall’incertezza, dalla precarietà, per consegnarlo ad un delirio di onnipotenza.

Poi arriva un microscopico virus, invisibile dai nostri occhi, e genera ancora una volta preoccupazioni, paura, panico, su tutta la nostra piccola terra. Genera la consapevolezza della nostra irrilevanza nel mondo.

Ma forse non è straordinaria questa nostra condizione attuale, forse era soltanto folle la situazione precedente. Noi siamo un animaletto casualmente apparso sulla terra tantissimo tempo fa; c’erano anche tanti altri animali assieme a noi, ma l’animale uomo era il più furbo, il più prepotente, il più spaventoso (Antigone di Sofocle). Fin quando l’uomo è stato a capo chino sotto il cielo, fin quando ha avuto un atteggiamento “religioso”, rispettoso, umile, verso la realtà, questo animaletto si è impegnato a cercare risposte ai miliardi di perché del nostro essere qui. Da quando si è assicurato la certezza del bene e del male per interposto Dio; da quando ha creduto che la sua “ragione” fosse capace di generare un mondo migliore di quello della natura; da quando ha cominciato ad ignorare il tempo, e quindi la sua morte, ha sicuramente costruito macchine veloci, computer efficientissimi, cellulari incredibili; ma ha trasformato tutti noi in bambini viziati.

Non si tratta di negare i bisogni dell’uomo: quelli che cercano la giustizia, l’amicizia, l’amore. Si tratta di negare alla radice la presunzione di un uomo che si crede Dio (anche quando lo nega, o forse soprattutto quando lo nega).

Questa lezione dovrebbe ri-darci occhi e cuore più miti; consapevolezza dei nostri limiti, e forse, anche per questo, gioia non subordinata alla cilindrata dell’auto nuova.

Tino Di Cicco

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